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I roghi agricoli: un’abitudine dannosa che continua a bruciare la nostra salute e il nostro futuro

In molte zone d’Italia purtroppo si assiste ancora alla combustione a cielo aperto di residui legnosi ed erbacei dell’agricoltura. Molti agricoltori bruciano ancora potature sfalci e paglie. Si tratta dei cosiddetti “roghi agricoli”, termine coniato dal grande e compianto magistrato ambientale Maurizio Santoloci.

Un pericolo per la salute e l’ambiente

Queste combustioni sono estremamente nocive per l’ambiente e la salute, perché rilasciano una grande quantità di inquinanti, che vanno dal particolato grossolano a quello sottile, agli idrocarburi policiclici aromatici, alla diossina, e a tutta una serie di composti pericolosi e instabili che derivano dalla volatilizzazione dei pesticidi somministrati alle piante prima della combustione, durante il normale ciclo colturale.

Addirittura, non è raro che a questo materiale venga mischiato altro legno, magari trattato con vernice, oppure plastica per usi agricoli, come cassette e tubi per l’irrigazione.

Il fatto che questo fenomeno si riscontri comunemente e palesemente, fa ritenere ai comuni cittadini in buona fede che sia legale, ma in realtà non è così.

Non è vero che si può bruciare liberamente

Addirittura molte regioni, quando diramano lo stato di grave pericolosità di incendio boschivo durante l’estate, annunciano il divieto di abbruciamenti agricoli, lasciando erroneamente sottointendere che, al di fuori di questo periodo, sia consentito praticare senza problemi una condotta che molto facilmente può costituire reato.

È stato invece chiarito più volte dalle sentenze dei tribunali e dai pareri degli esperti in diritto ambientale, che questa deleteria pratica costituisce proprio un reato.

Il divieto di abbruciamento infatti discende dal dovere di rispetto di una direttiva comunitaria da parte dell’Italia, che però più di qualcuno ha sempre cercato di eludere con deroghe pretestuose, finalizzate a favorire chi non intende smettere di nuocere alla salute dell’ambiente e dei cittadini.

La deroga: un alibi fragile e abusato

Non potendo trasgredire palesemente una direttiva Europea, sono state introdotte condizioni un po’ pretestuose, per cui bruciare legalmente questi rifiuti agricoli impone almeno di documentare che si sta producendo cenere ammendante per il terreno.

Ammendare il terreno significa somministrare in una sostanza basica in modo da innalzare il suo valore di ph quando è troppo acido per garantire lo sviluppo delle piante.

Non basterebbe quindi asserire questa volontà, ma bisogna presentare ai controlli una serie di documenti che non lasciano dubbi sulla bontà di quello che si sta facendo. Innanzitutto ci vorrebbero delle analisi del terreno che documentino che il ph è troppo acido.

In assenza di questa condizione, infatti non ha nessun senso ammendare il suolo. Bisognerebbe avere fiducia nell’agronomo che firma tale certificazione, ed essere sicuri che non asseveri il falso per facilitare semplicemente l’agricoltore.

Quest’ultimo, inoltre, deve registrare preventivamente da quale particella catastale proviene il materiale e verso quale particella catastale è diretta la cenere, con l’obbligo di non bruciare più di 3 metri steri di ramaglie al giorno e per ettaro di terreno. Un metro stero corrisponde ad una quantità di circa 3/5 “inforcate”, cioè di materiale movimentato tramite l’uso di un comune forcone.

La legge impone poi che questo materiale venga bruciato in piccoli mucchi, il che lascia intendere che da tre metri steri dovrebbero esser ricavati almeno due mucchi uguali.

Perché allora si assiste ancora così spesso a spettacoli che fanno pensare di essere dentro qualche girone infernale, specialmente in tante zone agricole? Forse la pratica è difficilmente sanzionabile a causa della cavillosità della deroga? Forse gli organi di controllo ritengono questo reato “bagatellare”? Non lo sappiamo.

Una pratica difficile da controllare, ma non per questo giustificabile

Possiamo solo constatare che le condizioni di deroga sono talmente strette e stringenti, ed il rischio di incorrere in sanzioni penali talmente alto che, se i controlli fossero effettuati con regolarità ed efficacia, questa pratica sarebbe effettuata con molta più prudenza.

In molte zone, invece, la palese evidenza di questa pratica in certi periodi dell’anno, lascia ragionevolmente supporre che i controlli non ci siano a sufficienza, o che non siano effettuati con la dovuta diligenza, accertando con efficacia quegli elementi che costituirebbero la concreta commissione di un reato.

Basterebbe infatti che gli agricoltori non fossero in grado di esibire la documentazione che attesta le condizioni grazie alle quali applicano la deroga e bruciano tali residui.

In ogni caso siamo sicuri, grazie ai dati nazionali che attestano la morte prematura a causa di inquinamento e polveri sottili, che tante persone si ammalano e muoiono, a loro insaputa, a causa di questa pratica.

Non a caso, proprio gli agricoltori e i loro familiari sono spesso vittime di malattie gravi.

La causa principale degli incendi boschivi

Non va poi dimenticato che questi roghi agricoli sono la causa principale degli incendi che ogni anno distruggono i nostri boschi.

Reprimere seriamente chi abbrucia materiale agricolo contribuirebbe efficacemente a combattere le cause del fenomeno, e non ogni volta costringere una nazione a piangere sul latte versato e sui boschi bruciati, magari proponendo misure che riguardano solo la eliminazione degli alberi per ridurre il “è combustibile”.

E infatti indecoroso che un paese come il nostro, qualsiasi afflitto dagli incendi boschi, supporti impunemente tanta illegalità che è causa di questo terribile fenomeno.

Una gestione miope delle biomasse

È inoltre a dir poco inverecondo che si continui a bruciare l’85% di tutto il legno che ogni anno viene tagliato dai boschi italiani, destinandolo per lo più a biomassa per le centrali termiche, mentre continuiamo a sprecare tutto il combustibile che dovrebbe doverosamente essere recuperato dagli scarti agricoli, e bruciato in condizioni di maggiore sicurezza e minore inquinamento.

Un opportuno conferimento di questo materiale alle centrali termiche, eviterebbe di trasformare i boschi in aree assimilate al bosco solo dalle definizioni di legge, ma che di bosco non avranno più nulla per decenni.

Tra l’altro, alcune tra le centrali più grandi in Italia sono state oggetto di scandali giudiziari perché divoratrici di boschi gestiti dalla criminalità organizzata.

Il rogo agricolo è il simbolo di un fallimento culturale

Concludendo, dietro l’abbruciamento degli scarti agricoli c’è il solito malcostume che purtroppo affligge il nostro Paese, che lascia a bocca aperta i visitatori, che non distinguono tra il paesaggio dei roghi agricoli e quello della Terra dei Fuochi, e dei rifiuti che lo deturpano e l’offendono.

È anche il segno dell’ipocrisia e dell’ignoranza che, unite assieme, giocano sempre per favorire interessi piccoli e meschini, come il “diritto” di bruciare i rifiuti agricoli, a discapito dei maggiori valori civili e costituzionali.

Cristiano Manni – dottore Forestale

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